Di Mons. Corrado Sanguineti (Vescovo di Pavia)
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La festa di San Siro, patrono della città e della Diocesi di Pavia, avviene in un momento gravido di speranze e di timori, di attese e di preoccupazioni: le speranze di tornare, in un futuro, non troppo lontano, a vivere una “normalità” che può sembrare un sogno, le attese di poter uscire lentamente nei prossimi mesi dall’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19, i timori di una situazione che si possa protrarre a lungo, magari con nuove “ondate”, le preoccupazioni legate alle grandi difficoltà sul piano sociale, economico, psicologico e umano. Nonostante il clima incerto e pesante, siamo comunque raggiunti dall’avvicinarsi del Natale, che porta in sé un respiro di vita e ridesta il desiderio di bene che abita nei cuori, e ci apprestiamo a vivere la festa di Siro, primo Vescovo di Pavia, un segno e un richiamo per tutti, credenti e non credenti. Perché appartiene all’identità profonda della nostra storia e diventa un riferimento a cui guardare e ispirarsi in questo tempo di prova. Nella tradizione San Siro è sempre raffigurato avendo ai suoi piedi il cesto con i pani e i pesci, poiché, secondo una leggenda, egli sarebbe da identificare con il giovinetto che portò a Gesù i cinque pani e i due pesci per sfamare la folla che seguiva il Maestro. San Siro e il pane: è un binomio bello, espresso dalla tradizione del “pane di San Siro” che si distribuisce in Duomo nei giorni della festa. Credo che in questo passaggio complesso che stiamo vivendo, come comunità civile e come Chiesa pavese, abbiamo bisogno di un pane sostanzioso. Nel discorso alla città e alla Chiesa di Pavia, che rivolgerò durante la solenne concelebrazione, vorrei provare a dire di che pane abbiamo bisogno oggi, per vivere e affrontare da uomini consapevoli e certi di un destino anche il nostro presente, con responsabilità, con passione, senza lasciarci soffocare e paralizzare dalla paura e dall’ansia, da un clima sociale negativo e infecondo. Nello spazio di questo articolo, mi limito a evocare semplicemente la figura del pane, alimento quotidiano, che chiediamo anche nella preghiera del “Padre nostro”, sotto tre aspetti: il pane della giustizia e della carità, il pane dell’educazione e della cultura, il pane di Dio. Di questo pane abbiamo bisogno, e ognuno può essere di volta in volta colui che dona e condivide, o colui che riceve e si nutre, in una rete di rapporti buoni che costituiscono la ricchezza e la forza di un popolo, di una città, di una società umana.
Il pane della giustizia e della carità
Il pane della giustizia e della carità: quante famiglie oggi vivono in gravi ristrettezze economiche, quante disparità sociali anche gravi stanno venendo alla luce, quanti uomini e donne che in poco tempo hanno perso il lavoro o le risorse essenziali per vivere, il pane quotidiano sulla mensa, e magari si vergognano di chiedere! Quante attività e imprese hanno già chiuso o rischiano di non aprire più, aumentando il numero dei disoccupati e deprimendo la crescita economica del nostro territorio, già affaticato! C’è un grido che sale dalle forme varie di povertà, che non è solo economica, ma è anche povertà di relazioni, di affetti sfigurati da violenze, di cui sono vittime soprattutto le donne e di conseguenza i bambini, povertà di prospettive per ragazzi e giovani lasciati a se stessi, per soggetti più fragili. Tutti siamo chiamati ad accogliere questo grido, a fare ciò che possiamo, secondo le nostre possibilità, competenze e responsabilità, per non far mancare il pane che ridà dignità e speranza alle persone ferite dalla vita, a rischio di essere ancora più emarginate e scartate. L’ultima enciclica di Papa Francesco, “Fratelli tutti”, già dal titolo indica la strada da percorrere per non sprecare questa crisi, per uscirne migliori: è riconoscerci “fratelli tutti”, partecipi della stessa umanità, figli dello stesso Padre. Ovviamente ci sono piani d’intervento differenti, alcuni spettano allo Stato, alle amministrazioni, al mondo delle associazioni e delle imprese, altri sono possibili a tutti, nella condivisione semplice dei bisogni, nello sguardo attento a chi è vicino, nella disponibilità a rendersi attivi nel volontariato, nell’offerta di risorse proprie, sapendo rinunciare a qualcosa di nostro a favore di chi ha poco o non ha nulla.
Il pane dell’educazione e della cultura
Il pane dell’educazione e della cultura: non basta sopravvivere al Covid! Non possiamo limitarci a ridurre i contagi e i ricoveri in ospedale. Certo l’opera dei sanitari, medici e infermieri, va riconosciuta e onorata, e fa male vedere in questa seconda ondata dell’epidemia come si sia raffreddato il clima caldo di vicinanza agli operatori della sanità che invece aveva accompagnato la prima ondata di primavera. Proprio nella nostra città la dedizione e la fatica che stanno spendendo tanti di loro, nei centri di cura e di ricerca che fanno di Pavia una città della salute, chiede di essere sostenuta e stimata da tutti. Tuttavia se la salute è un bene essenziale, non è sufficiente per una vita pienamente umana: si può essere sani e vuoti, in buona salute e senza prospettive di vita e di significato! Per questo motivo, accanto al pane della mensa, occorre che non manchi il pane dell’educazione e della cultura che permette la coltivazione piena dell’umano e apre il cuore agli orizzonti ampi della realtà, della verità, della bellezza e del bene morale. È un segno positivo che in queste settimane voci anche molto differenti tra loro si siano alzate per dire che i nostri bambini, ragazzi e giovani devono tornare, in sicurezza, senza cadere in un’ossessiva ed esagerata paura dei contagi, nelle scuole e nell’università, dai piccoli ai giovani, per vivere l’esperienza insostituibile del rapporto diretto con i docenti e tra loro. Si moltiplicano le ricerche che provano i gravi danni sul piano psicologico, relazionale e educativo che la sospensione delle lezioni in presenza comporta e i limiti oggettivi della “didattica a distanza” che, di fatto, per non pochi studenti risulta assai difficile da svolgere, per le condizioni sociali e familiari, e che crea fatiche crescenti nell’attenzione e nell’apprendimento. Come società, come Chiesa, non possiamo rassegnarci a una generazione abbandonata a se stessa, e accontentarci delle pur lodevoli iniziative d’incontri e di formazione per via telematica. L’educazione, la catechesi, la formazione chiedono un rapporto tra persone, tra volti, e lo stesso processo conoscitivo, per noi esseri umani, ha una componente anche affettiva ed emozionale. Non siamo robot e non viviamo d’algoritmi!
Il pane di Dio
Il pane di Dio: la vita, per essere affrontata e amata, chiede un significato, che renda ragionevole e umano vivere. Senza un’ipotesi di senso, noi non viviamo, sopravviviamo. L’esperienza condivisa in questi mesi dell’epidemia, con il suo carico di sofferenza, di lutti nelle famiglie, di solitudine dei malati, fa esplodere le grandi domande sul senso del dolore, della vita e della morte, sulla possibilità di una speranza che regga anche nelle ore più oscure. Per questo, nell’impatto con la realtà, si fanno strada nel cuore dell’uomo il senso di un mistero che lo trascende, l’intuizione e il riconoscimento, almeno come possibilità e come apertura dell’essere, di Dio, orizzonte ultimo e significato esauriente dell’esistenza. Censurare l’ampiezza di questa apertura, soffocare le domande ultime, come domande senza senso e senza approdo, è la morte dell’uomo. Come cristiani, come Chiesa di Pavia, sentiamo di avere qualcosa di prezioso da offrire e da proporre alla libertà e all’intelligenza degli uomini e delle donne che vivono in questa terra, in questa città così piena di segni di una storia cristiana. Così il pane di San Siro rimanda, in definitiva, al pane della Parola di Dio, al pane buono del Vangelo di Gesù, e insieme al pane dell’Eucaristia, dono del corpo di Cristo che si fa nutrimento nel cammino della vita. Grazie a Dio, in questa seconda ondata, abbiamo continuato a poter celebrare con la presenza dei fedeli, e sono profondamente convinto che in questo tempo, celebrare l’Eucaristia, ascoltare insieme la Parola di Dio, ritrovarci come fratelli nella fede intorno alla stessa mensa, è attingere alle fonti fresche della speranza che non delude, è incontrare la presenza viva del Risorto, che ci assicura un destino buono di vita e di risurrezione, oltre la soglia della morte e del tempo.