Siamo di fronte al testo più antico del Nuovo Testamento: la Lettera ai Tessalonicesi è infatti il primo scritto di Paolo. Sono gli Atti degli Apostoli (17, 1-10) a raccontarci della nascita di questa comunità cristiana, nel 51, per opera di Paolo stesso e di Silvano e Timoteo. In questi pochi versetti l’Apostolo, rincuorato dalle notizie ricevute da Timoteo, ringrazia Dio per come la comunità ha accolto e vive il Vangelo e sembra quasi ricordare a chiunque leggerà – sappiamo che le Chiese si scambiavano gli scritti degli apostoli – che, se la Parola di Dio si diffonde grazie alla potenza dello Spirito, corre però sulle gambe degli uomini e risuona nelle loro parole e nella loro vita. Mi piace immaginare Paolo assorto nella sua stanza, immerso nei ricordi, snocciolare ai due compagni di viaggio i nomi e i volti dei Tessalonicesi, ricordare alcuni momenti vissuti insieme e, forse, asciugarsi qualche lacrima. Niente di astratto: ringraziare – fare eucaristia, soprattutto alla domenica – è un gesto molto concreto: ha bisogna di presenza e partecipazione (quanto sofferenza nei mesi del lockdown e quanta sciatteria in certe “web celebrazioni”). Il solo celebrante non basta: non si tratta di rappresentare qualcuno, ma di vita vera ricevuta e donata al Padre. «L’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza»: ecco la vita della Chiesa, locale e universale. Diocesi e parrocchia. Comunitaria e personale. Fede che genera opere, carità che non esalta il volontario ma ne racconta l’adesione a un disegno più grande e una speranza che non scivola nell’ottimismo ma si esprime nella costanza di una prossimità e nella vicinanza di una intercessione che abbraccia anche chi materialmente non raggiungi. Tutto questo perché chiamati dal Padre, scelti e raggiunti non per nostro merito o titolo: è la sua misericordia che ci ha aperto le porte della Chiesa e ci ha fatto commensali al banchetto di nozze del Figlio. La vocazione è dono. Dono per tutti. Come lo accogli? Paolo dice che i cristiani di Tessalonica (oggi Salonicco) lo fanno con convinzione; a me alle volte sembra di farlo per tradizione o per abitudine. E tu?
Don Michele Mosa