Mestiere di uomo (e di donna): imparare. Scrive Stanislas Dehaene, professore di psicologia cognitiva sperimentale al Collège de France: «Il nostro cervello ha, fin dalla nascita, un talento che nemmeno i migliori software di intelligenza artificiale riescono ancora a imitare: la capacità di imparare. Persino il cervello di un bambino impara più velocemente e in modo più approfondito del più potente dei computer in circolazione oggi». Siamo fatti per imparare. Ma ci ostiniamo a voler insegnare. O perché abbiamo i titoli accademici per farlo o perché abbiamo l’esperienza o perché ci sentiamo portati e capaci di farlo: siamo tutti maestri e professori. Come siamo tutti allenatori e ministri. Potessimo fare il Presidente del Consiglio o il Papa per quindici giorni…Imparare invece è “roba” da bambini. Se vado a scuola, lo faccio da insegnante non da studente. Rischio di tutti. Rischio di uomo e di donna. Ieri, oggi domani, senza soluzione di continuità. Io infatti sono adulto. So camminare da solo. Anzi corro: conosco la strada. Così dimentichiamo che il Maestro è uno solo: noi siamo allievi. Discepoli, appunto. Tutti. Cristiani, cioè salvati, da Cristo. Però, come successe a Paolo, anche noi a volte siamo chiamati a insegnare. Come farlo? Guardando al Maestro innanzitutto, e ai maestri che ci ha dato; aggiunge Paolo: fate quello che avete visto in me, ascoltato da me. Imparare è saper guardare – “intus legere” – con intelligenza; saper ascoltare con l’orecchio del cuore più che con le orecchie. Imparare è accogliere l’altro, raccoglierne il testimone: questo ci farà maestri. Lo ricordava Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni». Ed era un discorso rivolto ai laici (forse perché sapeva che sarebbe stato inutile dirlo ai preti?). Testimoni, cioè martiri: capaci di donare se stessi. Questo fanno i Maestri. E questo noi impariamo (e non dimentichiamo). Non smettiamo di “andare a scuola dal Maestro” e dai Martiri: impariamo la lezione di Paolo e di Pietro: apostoli perché discepoli. Maestri perché Martiri. Seguiamo l’esempio di Michelangelo che ripeteva: «Io sto ancora imparando». Aggiungendo: «Se la gente sapesse quante ore ho sudato per realizzarlo, non mi considererebbe un genio».
Don Michele Mosa