Dal testo della Lettera ai Romani che la liturgia ci propone domenica 21 giugno emerge un confronto caro all’apostolo Paolo: Adamo e Cristo: «il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (1 Cor 15, 45). In questo brano «il confronto tra Cristo e Adamo – spiegava Benedetto XVI – si fa più articolato e illuminante: Paolo ripercorre la storia della salvezza da Adamo alla Legge e da questa a Cristo. Al centro della scena non si trova tanto Adamo con le conseguenze del peccato sull’umanità, quanto Gesù Cristo e la grazia che, mediante Lui, è stata riversata in abbondanza sull’umanità». Per questo, pur sapendo che da questa riflessione di Paolo parte la lunga e discussa “teologia del peccato originale” (basta leggere un qualsiasi commento per averne una se pur minima infarinatura), preferisco guardare a Gesù e cogliere il dono della grazia e della misericordia. Che – sarà la conclusione del brano, anche se la liturgia si ferma prima – è molto più abbondante del nostro peccato e di quanto possiamo immaginare: «Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rom 5, 20)». «Pertanto – è ancora Benedetto XVI – il confronto che Paolo traccia tra Adamo e Cristo mette in luce l’inferiorità del primo uomo rispetto alla prevalenza del secondo». Possiamo allora chiederci: perché Paolo parla del peccato, originale e personale, se al centro del suo pensiero e della sua riflessione c’è Cristo e la sua grazia? Credo, con semplicità e senza pretesa da teologo, che l’apostolo voglia ricordarci che il male è presente nella creazione, è una delle componenti della storia umana: lo incontriamo fuori e dentro di noi: non è però il “motore” della storia, come a volte siamo portati a pensare. Anzi: se Paolo tratta del peccato di Adamo e delle sue conseguenze su ciascuno di noi (originale e originante, dicono i teologi), è per poter affermare ad alta voce la GRAZIA che viene a noi dal Cristo crocifisso e risorto. Ne vien per noi, almeno credo, che non possiamo non fare i conti con il male, con il peccato e con il maligno ma non possiamo e non dobbiamo mai dimenticare che siamo nell’abbraccio della misericordia del Padre e siamo chiamati a testimoniare alle donne e agli uomini che incontriamo questa misericordia, come ci ricorda Luca alla fine del capitolo 24. Fare esperienza del peccato nella nostra vita e riconoscere di essere peccatori è il primo passo, è il passo necessario per scoprire la Grazia e lasciarci abbracciare da essa. Paradossalmente infatti si sente peccatore solo chi è vicino a Dio. Il problema di oggi dunque non è il peccato e il non sentirsi peccatore ma è la lontananza da Dio e il non sentire più il soffio leggero e consolante della sua Grazia e della sua misericordia. È il pensare di fare da soli. È il guardare al male come qualcosa di inevitabile – è un’esperienza fra le altre – o di invincibile – come la morte, appunto. E in questa mentalità ci siamo anche noi cristiani: o devozioni e miracoli o assenza di Dio. Abbiamo bisogno di riscoprire la “dialettica” della vita per farci interrogare dalla “dialettica” di Cristo, uomo e Dio. Dio in un uomo.
Don Michele Mosa