Quanto di noi preti oggi proveranno ancora ad arrampicarsi sugli specchi per parlare della Trinità, anzi per spiegare la Trinità? Tanti. Quasi tutti.
Perché? Probabilmente per almeno tre motivi:
- Siamo figli della filosofia greca: procediamo per concetti.
- Siamo figli dell’illuminismo e crediamo solo alla scienza. Procediamo solo per esperimenti e verifiche: tutto deve avere una spiegazione.
- Non abbiamo ancora fatto esperienza del Dio di Gesù Cristo nello Spirito Santo: per noi Dio è uno e unico ma forse, a parte le formule catechetiche o teologiche, non abbiamo ancora assimilato che è Trinità.
Così riproporremo per l’ennesima volta l’apologo di Agostino e del bambino in riva al mare: vorremmo spiegare e capire ma non siamo in grado. Non è colpa nostra: siamo solo uomini, in fondo.Paolo, che pure è di cultura greca – basta pensare alla sua predicazione ad Atene – sceglie un’altra strada: non la filosofia né la teologia ma la vita della Chiesa. Di quella Chiesa della quale lui fa esperienza ogni giorno. Perché la Chiesa è la migliore sintesi della Trinità: vive della Trinità e la annuncia in ogni suo gesto e parola. Perché siamo nella Chiesa? Perché siamo stati chiamati per grazia alla fede nel Signore. Perché siamo uniti nella Chiesa? Perché per l’amore di Dio siamo figlie e figli del Padre. Perché possiamo vivere nella fraternità e manifestare al mondo la nostra fede? Perché la comunione, che è dono e azione dello Spirito Santo, ci spinge a cercare il bene del prossimo e ad accoglierci nella fraternità.
Il triplice movimento: la grazia/charis di Gesù Cristo, l’amore/agàpe di Dio e la comunione/koinonia dello Spirito Santo, è all’origine della Chiesa e la Chiesa nel suo manifestarsi rivela il volto triplice di Dio. È da qui che dobbiamo (ri)partire: non dai nostri desideri ma dal disegno di Dio. Non dalla Chiesa che vorremmo noi ma da quella sognata da Gesù. E questo è il criterio: gratuità, amore e comunione. Gli uomini e le donne capiranno chi è Dio «dal nostro modo di essere credenti» – ha detto il Papa nell’omelia di domenica scorsa. Dal nostro modo di essere Chiesa – aggiungo io. Capaci di gratuità, di comunione, di annuncio. Sogno una Chiesa che non resta in chiesa ma esce e incontra tutti. Sogno una Chiesa che come il suo Signore non appiattisce la realtà, non schiera eserciti di soldati tutti uguali e allo stesso modo addestrati ma «tesse l’unità con le nostre diversità, che dà armonia» (Papa Francesco). Sogno una Chiesa che come una banda percorre le strade e porta freschezza, vita e gioia. Le grandi orchestre, per quanto suonino bene (meglio anche delle bande) suonano nei teatri. La Chiesa ha bisogno come la Trinità di uscire da se stessa per dare vita.
Don Michele Mosa