La festa delle Sante Spine avviene quest’anno in un momento particolare della vita sociale ed ecclesiale: dopo il periodo lungo e pesante del “lockdown” che per più di due mesi ha impedito quasi ogni attività, da poche settimane stiamo riprendendo il lavoro, città e paesi si rianimano, nelle nostre chiese i fedeli possono partecipare alle celebrazioni. Tutto questo ovviamente con limitazioni e norme di sicurezza giustamente necessarie per evitare nuovi focolai e ridurre i contagi: in questi giorni ci sono segnali che fanno sperare, tuttavia il virus è ancora presente e resta una minaccia da arginare e sconfiggere.In queste settimane, ritorna spesso il pensiero che nulla sarà come prima, che il mondo intero resterà segnato dall’esperienza inattesa e sconvolgente di questa pandemia che, oltre a causare molti morti e a mettere a dura prova i sistemi sanitari di ogni nazione, ha generato una crisi sociale ed economica, di cui si iniziano ad avvertire con preoccupazione i segni. Purtroppo sono aumentate, anche nel nostro territorio, situazioni di povertà estesa e grave: c’è il rischio concreto che attività commerciali e imprenditoriali non possano riaprire o sostenersi a lungo, e in assenza d’immediata disponibilità di denaro, dovuta a incomprensibili lentezze dell’italica burocrazia, si fanno avanti usurai senza scrupoli; ci sono categorie, anche di professionisti, in difficoltà, finora poco considerate dai provvedimenti di sostegno dello Stato; ci sono soggetti deboli, come senza tetto, migranti e stranieri irregolari, ex-detenuti che cercano con fatica di reinserirsi nella società, lavoratori precari o “in nero”, famiglie che già faticavano ad arrivare alla fine del mese, che, nonostante lo spettacolo di una multiforme carità espressa con gesti semplici e con iniziative promosse dal volontariato, a volte in collaborazione con l’ente pubblico, hanno davanti a sé un futuro oscuro e corrono il pericolo di essere ancor più dimenticati, soprattutto nei prossimi mesi. Per non parlare poi di alcune sfide che si pongono a livello europeo e mondiale. Arriviamo alla festa delle Sante Spine un po’ travolti da ciò che abbiamo vissuto e sofferto, con il cuore combattuto tra paure e speranze, tra l’attesa di poter riprendere una vita più “normale” e l’incognita di un futuro ancora nebuloso. Avvertiamo che sarebbe ingiusto dimenticare in fretta ciò che abbiamo condiviso, di bello e di brutto, di positivo e di negativo, in questo passaggio inimmaginabile, e sentiamo che è importante, come persone, come famiglie, come comunità civile, come Chiesa, dare un giudizio sull’esperienza, trattenere le provocazioni, le domande e le prospettive affidate alla nostra responsabilità. In questo senso, sarebbe triste, riprendere in fretta il corso ordinario del vivere, cancellando il vissuto faticoso e intenso di questi mesi, senza imparare nulla e senza fare delle scelte che orientino a realizzare un modo di vivere, come soggetti e come società, più umano, più rispettoso del creato, più attento a chi può restare indietro o essere scartato.D’altra parte, c’è la voglia di guardare avanti, di ripartire, di non restare concentrati, in modo un po’ ossessivo, sull’epidemia e su tutto ciò comporta tuttora il pericolo del Covid-19.
“C’è un mondo pre-Covid e un mondo post-Covid?”
Ritorno alla domanda: davvero non saremo più come prima? C’è un mondo pre-Covid e un mondo post-Covid? Intuiamo subito che in realtà dipende da noi: ovviamente e giustamente c’è un ritmo di vita e d’impegni, di svago e d’interessi, che riprenderemo pian piano, secondo le possibilità che si determineranno, tuttavia l’esperienza di questi mesi mette in luce risorse da valorizzare, insieme a fragilità e vere patologie del “modus vivendi”, proprio del nostro mondo occidentale e sviluppato, con ricadute e conseguenze sulle popolazioni ancora scandalosamente segnate da povertà, fame, ingiustizie e guerre, e da un intollerabile sotto-sviluppo. In questo orizzonte, le Sante Spine che hanno cinto il capo di Gesù, il santo e giusto innocente, condannato alla morte ignominiosa della croce, possono diventare il segno di alcune piaghe che siamo chiamati a riconoscere e a curare. Si potrebbe ampliare il numero e il volto di queste “piaghe” quanto più lo sguardo si allarga a tutto il mondo: qui io vorrei limitarmi a guardare il presente del nostro Paese, di cui siamo parte, come città e diocesi di Pavia, e provare a indicare un campo di lavoro e di scelte che dovrebbe coinvolgerci tutti, secondo le possibilità e competenze di ciascuno, dal politico e dall’amministratore, al semplice cittadino, alla famiglia, alle varie espressioni di vita sociale e comunitaria, comprese le nostre comunità cristiane.
La grave “dimenticanza” delle scuole paritarie
Se è apparso ancora una volta chiaro che la famiglia rappresenta una risorsa formidabile di energia e di resilienza, com’è accaduto in questo tempo, una prima piaga è la dimenticanza grave della famiglia come soggetto da sostenere, a livello culturale, sociale e politico. Certamente anche come Chiesa, siamo chiamati a incoraggiare il protagonismo delle famiglie nella comunità cristiana, nell’educazione alla fede dei loro figli, nella vita dei nostri oratori. Le famiglie chiedono uno Stato, un’amministrazione, una città più attenti e solleciti ai loro bisogni e alle loro esigenze, rispettosi della libertà responsabile dei genitori nel campo educativo e scolastico. La grave “dimenticanza” nei decreti governativi delle scuole paritarie, che appartengono al sistema pubblico dell’istruzione, è un triste segnale che speriamo possa trovare soluzione: non per difendere dei privilegi, ma per rispetto di una reale libertà di scelta da parte delle famiglie, superando riserve ideologiche che rischiano di creare un grave danno a tutta la collettività. Se dovessero chiudere, come potrebbe accadere, il trenta per cento delle paritarie, molto numerose nella scuola dell’infanzia, e le tante piccole scuole private dell’infanzia e del nido, oltre a privare del lavoro migliaia di famiglie, lo Stato dovrebbe accollarsi migliaia di studenti in strutture che già ora hanno problemi di capienza e sicurezza, con una spesa molto maggiore di ciò che andrebbe a spendere per salvaguardare l’esistenza delle scuole paritarie.
La piaga dei lavori precari o in nero
Una seconda piaga, legata al mondo economico e sociale, è l’ampio ricorso a lavori precari o in nero, che mettono migliaia di lavoratori in condizioni di debolezza, spesso alla mercé di chi offre un’occupazione sotto-pagata, senza copertura previdenziale e assicurativa, talvolta con vere e proprie forme di sfruttamento e di “caporalato” che “utilizzano” migranti irregolari sul territorio o persone senza reddito. Il provvedimento della regolarizzazione di alcune fasce di questi lavoratori – pensiamo anche alle preziose badanti e colf straniere nelle nostre case, vicino ai nostri anziani, anch’esse a volte senza condizioni regolari di permanenza e quindi di lavoro – è un segno positivo in questa direzione, ma c’è molto da fare e da cambiare: uno Stato meno invasivo e oppressivo, con mille lacciuoli burocratici, tasse e balzelli, potrebbe liberare energie imprenditoriali, valorizzare la grande capacità e creatività delle nostre aziende medio-piccole, spesso a conduzione familiare, e favorire l’assunzione in lavori stabili, remunerati secondo giustizia, coperti dal sistema della previdenza sociale. Tra la folla dei precari, non dimentichiamo che ci sono anche molti insegnanti della scuola pubblica, statale e paritaria, che dopo anni di servizio, sono ancora appesi all’incertezza, magari costretti a sostenere concorsi poco dignitosi per avere ciò che dovrebbe essere un diritto acquistato sul campo.
“Nulla può sostituire le lezioni in classe”
Qui c’è una terza piaga che chiede un radicale investimento di cure, un cambiamento di sguardo, ed è la situazione critica della scuola: in questi mesi, le scuole di ogni ordine e grado sono rimaste chiuse; è vero che si sono attivate, con grande impegno dei docenti, forme d’insegnamento per via telematica. Tuttavia è una situazione pesante ricaduta sulle spalle delle famiglie, a volte abbandonate a se stesse; sono emerse difficoltà legate alla disparità economica e sociale delle famiglie: non tutte hanno computer e tablet per tutti i figli, non tutti i bambini hanno genitori in grado di seguirli nell’uso di questi strumenti. Per non parlare di chi ha figli con disabilità o deficit cognitivi. Inoltre è apparso chiaro che, senza negare l’utilità di certe piattaforme digitali anche per la didattica, nulla può sostituire la lezione in classe, e l’esperienza dell’andare a scuola, stabilendo rapporti tra compagni e con i docenti. Questo bisogno di una relazione viva e diretta è poi imponente per i bimbi del nido, dell’infanzia e della primaria. Ora noi rischiamo d’essere in Europa il primo Paese che ha chiuso le scuole e l’ultimo che le riaprirà! Occorre pensare e trovare soluzioni, sul territorio, che permettano a settembre di riprendere in sicurezza le lezioni, e sarebbe auspicabile che almeno per i bambini dell’infanzia e del nido, si potesse prospettare una parziale ripresa d’attività nella prima parte dei mesi estivi.
“Troppo poche risorse per ricerca e Università”
Una quarta piaga è la scarsità di risorse che l’Italia dedica al mondo della ricerca e dell’Università: diversi centri di ricerca medica in Italia, nella nostra Pavia e in Lombardia, si sono attivati con risultati promettenti per la cura del Coronavirus e per un possibile futuro vaccino, e di questo dobbiamo essere grati. Oltre alla competenza e alla dedizione degli operatori sanitari, che nella fase iniziale dell’epidemia hanno dovuto affrontare un vero “tsunami”, è bene sapere e riconoscere che è proseguita un’attività significativa di ricerca e di pubblicazioni. Ora un Paese che ha a cuore il bene e il futuro dei suoi cittadini, dei suoi giovani deve investire di più nella ricerca, in ogni campo di studio, e anche qui si possono creare buone alleanze tra il pubblico e il privato, tra lo Stato e le regioni e i comuni.
“Le debolezze del sistema sanitario e socio-sanitario”
Un’ultima piaga è rappresentata dalle debolezze del sistema sanitario e socio-sanitario: senza cadere in condanne generalizzate o nella ricerca di “capri espiatori”, ci sono stati problemi di assistenza adeguata in alcune Rsa, strutture per sé inadeguate alla gestione di un’epidemia. Qui c’è una grande domanda su come assicurare ambienti più “familiari” per i nostri anziani, come promuovere forme nuove di cura e di assistenza che non isolino i vecchi, che permettano un’esperienza di accoglienza più diffusa sul territorio, anche con esperienze di “cohousing”, di coabitazione in vicinato tra anziani e famiglie con bambini. Inoltre, pur essendo davanti agli occhi di tutti l’impegno profuso dalla sanità, anche nei centri di cura e di ricerca di Pavia, il nostro sistema della salute pubblica chiede un radicale ripensamento che deve coinvolgere politici, amministratori, medici e personale sanitario, enti privati: è indubbio che vadano spese più risorse per assicurare una sanità efficiente e attenta ai bisogni del territorio e delle persone, occorre potenziare il primo livello di assistenza rappresentato dai medici di famiglia, che all’inizio dell’epidemia sono stati lasciati soli, privi di dispositivi di sicurezza; senza tornare indietro, a forme di centralismo statalista, è doveroso verificare e migliorare le forme di collaborazione e di convenzione tra ente pubblico e strutture private, assicurando una dovuta vigilanza per evitare sprechi o irregolarità. Sono solo alcune “piaghe” che stanno sotto i nostri occhi: venerando le Sante Spine di Cristo, poniamo attenzione a queste ferite profonde che segnano il nostro corpo sociale, e nella passione positiva di una ripresa del nostro Paese, facciamo tesoro dell’esperienza vissuta, per costruire una casa comune veramente ospitale, dove nessuno sia dimenticato.
Mons. Corrado Sanguineti
(Vescovo di Pavia)