Paradosso?
Bufala colossale?
Credenze di un tempo che fu?
Miracolo, semplicemente miracolo?
Le pietre sono senza vita, esseri inanimati per eccellenza.
Mi spiace ma non ci credo.
E vi porto due ragioni: la prima risale a Michelangelo che così spiegava il suo lavoro: «Ogni blocco di pietra ha una statua dentro di sé ed è compito dello scultore scoprirla»; la seconda è biblica, anzi religiosa – basta pensare ai totem – e riguarda il sogno della scala di Giacobbe (Israele) con Dio e sigilla l’alleanza fra di loro: ««Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vestiti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima» (Gen 28, 20-22).
Le pietre costituiscono l’edificio ma non sono l’edificio: ne sono l’anima. Indicano una presenza. Ricordano, appunto, un’alleanza.
Non possono essere ridotte a “cose”, pena il fatto che – come ricorda Gesù stesso – di queste non resterà nulla: il loro destino è il crollo, la consumazione, la polvere.
Le pietre dunque sono vive: condizione necessaria perché l’edificio sia vivo. Vivo è Cristo, pietra angolare, vivo è Pietro e gli Apostoli, pietre su cui si costruisce l’edificio, vivi siamo noi, discepoli battezzati per essere Chiesa.
Qui è il discrimine: se diventiamo pietre morte, l’edificio sarà anche un monumento ma svolgerà la funzione di un museo: oggetto di studio e di visite. Ma morto, decisamente e tristemente morto.
Se siamo vivi, pur con le nostre schegge e i nostri rattoppi, saremo Chiesa viva.
Monumento di umanità. Misericordia. E tenerezza.
Lasciatemi concludere con una storiella medievale. Dice molto più del mio commento.
Capitò un giorno che un anziano andò a visitare il cantiere di una Cattedrale e, osservando tre uomini che tagliavano pietre, domandò loro cosa stessero facendo. Il primo rispose: «mi guadagno da vivere». Il secondo: «taglio pietre». Il terzo: «sto costruendo una Cattedrale». L’anziano li salutò con cortesia e li lasciò al loro lavoro. Sulla via di casa però rifletteva, ad alta voce: «oggi ho incontrato un uomo che lavora per la sua famiglia, un buon artigiano e un vero artista che sa elevarsi dalla terra al cielo. Quell’uomo infatti sapeva che, dietro al suo scalpello, c’era la scala che avrebbe permesso a tanti di arrivare a Dio».
Don Michele Mosa