Di una sapienza che viene da Dio – continua Paolo – e non è di questo mondo. E dunque non la conquisti con lo studio. E neppure con l’esperienza. È un dono. Non è frutto di ricerca. Non è premio meritato. Non chiede la fatica dell’impegno ma il coraggio dell’accoglienza. Non è prerogativa degli anziani: semmai quella si chiama esperienza. La canizie non è sinonimo di sapienza. Sembra strano, lo so.Siamo abituati a pensare alla saggezza degli anziani: è più di un luogo comune, è un dato di fatto, inscritto nel DNA della società occidentale. È il pensare dei filosofi come il raccontare dei nonni. Invece Paolo ci suggerisce che le cose stanno in un altro modo: nella Chiesa e nel mondo. La sapienza è mistero che solo lo Spirito conosce e può rivelare: agli anziani come ai piccoli (basta leggere il libro di Daniele). Perché la “sapienza dei perfetti” non ha nulla a che fare con il buon senso o con i consigli di chi ha vissuto più di noi. Quella “Sapienza” si manifesta nel Cristo crocifisso: è una “follia”. La “perfezione” è l’immersione nell’amore di Dio che ti avvolge come l’acqua del battesimo. Come l’abbraccio del papà o della mamma. Forse potrei usare le parole di S. Giovanni XXIII: si tratta della “sapientia cordis”. Cioè – spiega Papa Francesco – di «un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio». È uno dei sette doni dello Spirito. Di quei doni che si imparano, forse, al catechismo in preparazione alla Cresima. Che si disegnano come una delle sette fiamme che escono dalla colomba (i cartelloni appesi in chiesa il giorno della Cresima). Ma poi, dal giorno dopo, non invoca nessuno.
Don Michele Mosa