Nella notte della festa dei Morti, tra l’uno e il due novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini muore brutalmente assassinato all’Idroscalo di Ostia. Muti testimoni della strage del Poeta sono certo i Morti, attoniti dinanzi a tanta efferata crudeltà insensata. Dal cielo nero, i Morti paiono dolenti angeli impotenti. Ma uomini così, come Pier Paolo Pasolini, non muoiono mai. Hanno ucciso, massacrato, trucidato l’ultimo Poeta, ma il pensiero, l’opera, le parole di Pier Paolo Pasolini non moriranno mai. Hanno ucciso l’intellettuale, l’artista, il cineasta, un grande comunicatore, il Poeta. E di poeti ce ne sono pochi, “ne nascono soltanto tre o quattro in un secolo”. Così lo ricordava con voce rotta dal dolore e dall’emozione l’amico Alberto Moravia nell’orazione funebre. L’hanno colpito alle spalle. Moravia non può fare a meno di vedere nella mente, ed è un’ossessione, l’orrore di quella notte: la paura di un uomo solo contro tanti uomini senza volto, un uomo solo inseguito, braccato dal branco. Hanno assassinato un uomo inerme, sensibile e autentico, dalla sincerità disarmante, dalla voce dolcissima, che non avrebbe mai fatto del male a una mosca, un uomo che, prima di patire per sé una morte per cui non ci sono parole, avrà sofferto pensando a sua madre, la quale il grande cineasta aveva voluta nel ruolo della Madonna in quel memorabile film che è “Il Vangelo secondo Matteo”. Fino alla fine Pasolini avrà pensato a sua madre, che lui amava più della propria vita, al dolore disumano inflittole. Per qualsiasi società civile il poeta è sacro. Per questo ribadisce Moravia si tratta di “Una perdita irreparabile”. E si sofferma sull’uomo Pasolini: “un uomo profondamente buono, mite, gentile (…) che aveva il coraggio di dire la verità. Uno buono come Pasolini sarà difficile trovarlo. Uno disinteressato, dall’assoluta mancanza di calcoli”.
Un uomo divorato da “un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima.” (Pier Paolo Pasolini, “Supplica a mia madre”), un uomo che aveva in odio la violenza. Un artista che sapeva comunicare ed esprimere, e aveva a cuore i problemi sociali del Paese, inventore di miti e di una nuova poesia civile. Pier Paolo Pasolini è e sempre sarà tutto questo. Un regista che ha dato la parola a chi non ha parola, gli umili, il popolo delle borgate. Non attori professionisti, dunque, ma uomini e donne della strada, del popolo, i personaggi dei suoi film. Il cinema di Pasolini è espressione di un realismo che ha il proprio naturale antecedente in un altro grande artista realista, Caravaggio, che Pasolini studiò sotto la guida di Longhi all’Università di Bologna.
Questo il messaggio, l’eredità di Pier Paolo Pasolini: “Il problema è avere gli occhi e non sapere vedere, non guardare le cose che accadono…
Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accadrà più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio”.
Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia