Senza informazione si crea il panico, la troppa informazione crea confusione. Quale giusto equilibrio?
Questa è la domanda che ci attanaglia da quando abbiamo capito che l’Italia era vulnerabile come la Cina e come tutte le Nazioni di questo pianeta e che anche noi saremmo stati colpiti da questa “Idra” che conosciamo di giorno in giorno.
Parlare del virus per esorcizzarne la paura. Tutti i giorni assistiamo ad interviste, inermi davanti a pareri discordanti: chi dice state in casa, chi dice che il virus fa come gli pare, chi ancora ci invita a riprendere la nostra esistenza, per ridare vita a città sempre più fantasma, chi paragona il virus ad una normale influenza.
La nostra verità è quella che ci vogliamo dare, la stessa, che consente di vivere un quotidiano che non ci soffochi di angosce.
La rielaborazione del fatto dettato dall’esperienza personale e dalla soggettività che ognuno di noi ha, non è più un parametro di vita. L’unico e vero parametro dovrebbe essere la scienza, che ad oggi, sia pure con difficolta, si impegna ad arginare l’evoluzione del virus.
Ancora una volta noi cerchiamo di credere in quello che ci dicono, perché non vogliamo perdere del tutto la fiducia: “ci fidiamo” oggi in un momento storico, dove la fiducia è disattesa da tutte le parti, l’incertezza dilaga, e sono più le domande delle risposte .
Perché in un mondo come il nostro si smette di studiare e sperimentare, perché i famosi fondi alla ricerca vengono periodicamente tagliati senza pensare che in tal modo si colpisce uno degli elementi essenziali della nostra civiltà, compromettendo il nostro futuro?
Non ho una risposta a tutte queste domande, ho solo la speranza che dopo questa profonda crisi diversa da tutte le altre, raccontate in letteratura, si riscoprano valori e si impari a far diventare l’imprevedibile, prevedibile.
Il trinomio epidemia, contagio e quarantena è indice di cambiamento e ha modificato la storia e l’economia sin dal dal 1300 con la peste nera che devastò l’Europa. Da Boccaccio a Manzoni si narrano morte e disfacimento delle abitudini e dei costumi, anche allora la critica alle autorità incapaci di prendere misure efficaci. Il bisogno di trovare un colpevole, la paura del contagio che ha rievocato in molti di noi il disvalore delle divisioni, la paura dell’untore.
I muri territoriali e sociali che speravamo essere crollati con le globalizzazioni sono quanto mai di moda.
La nostra cultura e il nostro ingegno sono ormai secondari alla paura. Non sapremo quando e come, ma dalle ceneri come una fenice dovremo rinascere, avendo fatto tesoro dei nostri errori sulla gestione della comunicazione. Per l’ennesima volta, uno spettro aleggia sopra gli umani, proiettando ai loro occhi orizzonti sinistri. Occorre, allora, ricorrere ad una lente speciale per evitare visioni fuorvianti e portatrici di suggestioni: la lente della ragione. Tutte le cose e le vicende umane hanno un inizio ed una fine. Così, la terribile esperienza del virus, che si è abbattuto su di noi, è destinata a concludersi in una dinamica scandita dall’alfa fino all’omega: a ciascuno il compito di far in modo che siffatta declinazione sia rapida e priva di errori. Forse per ora c’è una paroletta magica che gioverebbe a tutti. La parola virtuosa è “sobrietà “da parte di tutti: degli scienziati (chiamati a darci lumi), dei politici e di noi tutti, cittadini di un mondo che si deglobalizza e, contemporanemente, deve affrontare una pandemia globale. La sobrietà sarà l’antidoto al panico ed all’ euforia e ci renderà più forti ed uniti.
Questa è la domanda che ci attanaglia da quando abbiamo capito che l’Italia era vulnerabile come la Cina e come tutte le Nazioni di questo pianeta e che anche noi saremmo stati colpiti da questa “Idra” che conosciamo di giorno in giorno.
Parlare del virus per esorcizzarne la paura. Tutti i giorni assistiamo ad interviste, inermi davanti a pareri discordanti: chi dice state in casa, chi dice che il virus fa come gli pare, chi ancora ci invita a riprendere la nostra esistenza, per ridare vita a città sempre più fantasma, chi paragona il virus ad una normale influenza.
La nostra verità è quella che ci vogliamo dare, la stessa, che consente di vivere un quotidiano che non ci soffochi di angosce.
La rielaborazione del fatto dettato dall’esperienza personale e dalla soggettività che ognuno di noi ha, non è più un parametro di vita. L’unico e vero parametro dovrebbe essere la scienza, che ad oggi, sia pure con difficolta, si impegna ad arginare l’evoluzione del virus.
Ancora una volta noi cerchiamo di credere in quello che ci dicono, perché non vogliamo perdere del tutto la fiducia: “ci fidiamo” oggi in un momento storico, dove la fiducia è disattesa da tutte le parti, l’incertezza dilaga, e sono più le domande delle risposte .
Perché in un mondo come il nostro si smette di studiare e sperimentare, perché i famosi fondi alla ricerca vengono periodicamente tagliati senza pensare che in tal modo si colpisce uno degli elementi essenziali della nostra civiltà, compromettendo il nostro futuro?
Non ho una risposta a tutte queste domande, ho solo la speranza che dopo questa profonda crisi diversa da tutte le altre, raccontate in letteratura, si riscoprano valori e si impari a far diventare l’imprevedibile, prevedibile.
Il trinomio epidemia, contagio e quarantena è indice di cambiamento e ha modificato la storia e l’economia sin dal dal 1300 con la peste nera che devastò l’Europa. Da Boccaccio a Manzoni si narrano morte e disfacimento delle abitudini e dei costumi, anche allora la critica alle autorità incapaci di prendere misure efficaci. Il bisogno di trovare un colpevole, la paura del contagio che ha rievocato in molti di noi il disvalore delle divisioni, la paura dell’untore.
I muri territoriali e sociali che speravamo essere crollati con le globalizzazioni sono quanto mai di moda.
La nostra cultura e il nostro ingegno sono ormai secondari alla paura. Non sapremo quando e come, ma dalle ceneri come una fenice dovremo rinascere, avendo fatto tesoro dei nostri errori sulla gestione della comunicazione. Per l’ennesima volta, uno spettro aleggia sopra gli umani, proiettando ai loro occhi orizzonti sinistri. Occorre, allora, ricorrere ad una lente speciale per evitare visioni fuorvianti e portatrici di suggestioni: la lente della ragione. Tutte le cose e le vicende umane hanno un inizio ed una fine. Così, la terribile esperienza del virus, che si è abbattuto su di noi, è destinata a concludersi in una dinamica scandita dall’alfa fino all’omega: a ciascuno il compito di far in modo che siffatta declinazione sia rapida e priva di errori. Forse per ora c’è una paroletta magica che gioverebbe a tutti. La parola virtuosa è “sobrietà “da parte di tutti: degli scienziati (chiamati a darci lumi), dei politici e di noi tutti, cittadini di un mondo che si deglobalizza e, contemporanemente, deve affrontare una pandemia globale. La sobrietà sarà l’antidoto al panico ed all’ euforia e ci renderà più forti ed uniti.
Dott. Gustavo Cioppa
(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia, già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)